Testo tratto dall’intervista con Francesca Olivieri in data 31/01/2024.
C’è un bel termine che trasmette questo concetto di rapporto di influenza sensoriale reciproca fra persona ed architettura che è il concetto di “affect”, ovvero di affezione, di empatia.
Come nasce la tua passione per l’architettura? Quando? Dove?
La mia passione per l’architettura nasce sicuramente grazie all’ISA, l’Istituto Statale d’Arte di Monza, la mia scuola superiore. Era una scuola del “fare” in cui si trascorrevano tantissime ore in laboratorio. Fra gli altri c’erano quello di ebanisteria, di lavorazione dei metalli e concorrevano tutti allo sviluppo dell’attività che si svolgeva nel laboratorio principale, quello di progettazione. Ricordo che anche durante arti visive, una disciplina legata all’indirizzo figurativo, ci occupavamo di disegno legato al progetto e di disegno come indagine delle forme di ciò che ci stava attorno.
La rappresentazione come strumento di ricerca progettuale, questo aspetto mi ha molto indirizzata ed è sicuramente un punto fermo.
Da cosa trai ispirazione? Hai un mentore?
Questa è una domanda interessante.
Diciamo che il mio intento, e dico intento perché ho iniziato da pochissimo la professione in forma singola ed è tutta una strada che sto ancora tracciando, è quello di affiancare alla pratica la teoria come fonte di ispirazione. Dove per teoria intendo la ricerca sul tema dell’espressione dell’architettura contemporanea e di come questa intercetti i cambiamenti del pubblico nel vivere lo spazio che circonda. In questo senso i “mentori” diventano quindi tutte quelle figure che hanno da dire qualcosa di significativo.
Ad esempio, mi interessano molto le posizioni di Herzog e De Meuron sull’aspetto immaginifico delle loro architetture e sul rapporto che creano per mezzo dell’ornamento con il loro spettatore. Per andare un pochino più indietro, ma sempre nel tema del rapporto comunicativo fra architettura e uomo sto studiando l’opera di Mario Galvagni e la sua teoria sulle matrici formali, ovvero immagini del contesto che influenzano il progetto.
Ci puoi parlare della tua esperienza al Concorso Giovani Critici 2020?
L’esperienza al Concorso Giovani Critici 2020 nasce proprio da questo interesse. Il saggio proposto ha le sue radici nella tesi di laurea magistrale mia e del mio amico e collega Gian Marco De Vitis, che affrontava il tema dell’importanza rappresentativa dell’ornamento in architettura e dei suoi risvolti sia progettuali che di comunicazione passiva. Abbiamo pensato di riassumerne alcuni aspetti e proporre la nostra riflessione ad un pubblico più vasto attraverso il concorso bandito dall’AIAC. Affiancando il testo ad alcune immagini di architetture diventate virali prese dai social network, eliminandone il soggetto e mantenendo lo sfondo architettonico in modo da cercare quelle invarianti rappresentative che vengono inconsciamente applicate da chi scatta la foto, e con grande soddisfazione abbiamo vinto!
C’è un bel termine che trasmette questo concetto di rapporto di influenza sensoriale reciproca fra persona ed architettura che è il concetto di “affect”, ovvero di affezione, di empatia. Credo che il riconoscimento di questo premio sia un po’ testimonianza dell’interesse che c’è nei confronti del tema della comunicazione social, che però spesso viene considerata come qualcosa di semplicemente riduttivo e che invece secondo noi, e a quanto pare anche secondo la giuria presieduta da Luigi Prestinenza Puglisi, vada ancora analizzata e compresa in quanto sintomo di una mutazione profonda del rapporto con lo spazio.
Qual è stato il tuo primo incarico?
Il mio primo incarico è stato un piccolo lavoro pubblico di ristrutturazione del cimitero di Bergeggi (SV). Si è trattato di un vero e proprio “taglia e cuci” di inserimento di due corpi loculi a torretta stretti fra dei volumi esistenti e il rifacimento del servizio igienico, ai lati dei quali ho ritagliato alcuni spazi di servizio e di sosta. Il tentativo, seppur nella piccolissima taglia, è stato quello di attribuire a questi inserti un carattere di omogeneità che è data dalla scelta di un unico materiale che è come se si ripiegasse su questi volumi molto semplici.
La pietra scelta ha la peculiarità di essere molto omogenea da lontano salvo poi svelare una miriade di aggregati fossili visibili ad occhio nudo appena ci si avvicina. Quello che mi interessava in questo lavoro, e che mi interessa in generale nella progettazione, è cercare il carattere del luogo. A volte va pressoché inventato, più spesso invece esiste già e va scoperto e rafforzato attraverso il progetto.
Pensi che la giovane architettura italiana sia valorizzata nel modo giusto?
Credo che lo strumento del concorso in architettura faccia molto per la valorizzazione e la partecipazione di giovani studi al progetto. Penso però che anche al di fuori delle grandi realtà metropolitane ci sia spazio per esprimersi, forse anche di più.
Sei a conoscenza di eventi o promozioni per gli studi di giovani architetti italiani?
A livello nazionale non saprei, ma a livello locale devo dire che ho trovato molto interessante l’iniziativa di Open! che è stata portata avanti a giugno dell’anno scorso dall’Ordine di Monza e dalla Commissione Giovani con la particolarità di essere focalizzata sugli studi under 40 e alla quale ho partecipato trovandola un’occasione di scambio davvero interessante. Penso che, se fatta anche in altri contesti, potrebbe essere un’ottima occasione per creare una sorta di rete tra i giovani professionisti.
Come mai hai deciso di associarti al collettivo monzese?
Ho conosciuto l’organizzazione del collettivo proprio durante Open! e ho deciso di partecipare perché credo molto nei contesti in cui le relazioni si definiscono ad una scala tale da rimanere dirette e personali. Credo che si possa cominciare un bel percorso insieme agli studi che ne fanno parte.
Quale progetto ti ha dato più soddisfazione?
Di recente mi sono occupata della curatela del Festival di Architettura di Torre del Mare dal titolo “Abitare la Vacanza_Off” insieme a Emanuele Piccardo, Elena Vergnano, con la collaborazione e supervisione scientifica di Andrea Canziani. Un’iniziativa che è stata promossa dal Comune di Bergeggi e Area Marina Protetta Isola di Bergeggi, nell’ambito del progetto finanziato da Fondazione Compagnia di San Paolo, ed è stata supportata dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Imperia e Savona e della Soprintendenza archivistica e bibliografica della Liguria.
Il tema generale era la valorizzazione dell’opera di Mario Galvagni a Bergeggi, circa 40 edifici progettati e realizzati fra il ’54 e il ‘62 da questo giovane architetto appena laureato e ciò che ho trovato più interessante, e personalmente più soddisfacente, è stata la volontà di creare l’occasione per portare alla luce diversi temi che vanno dalla valorizzazione del territorio attraverso l’architettura fino alle modalità di conservazione del patrimonio moderno, coinvolgendo diversi soggetti con eventi aperti sia ai professionisti che alla comunità residente, ai turisti, agli appassionati. Un approccio che ho trovato davvero stimolante.
A cosa stai lavorando ora?
In questo momento sto terminando alcune ristrutturazioni di case private e a breve dovrei cominciare la progettazione di un parco giochi per bambini nell’ambito di un altro lavoro pubblico.
Cosa ti auguri per il futuro?
Mi auguro di mantenere vivo l’interesse per ciò che non sembra ad un primo sguardo strettamente legato alla professione che tende sempre a fagocitare tutto il tempo a disposizione, ma che lo è inevitabilmente, dagli eventi culturali fino ai viaggi.
Fonti:
Francesca Olivieri Linkedin
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